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Artsy

LIVIA MARIN


LIVIA MARIN

Livia Marin impiega oggetti di uso quotidiano per indagare la natura nel nostro rapporto con gli oggetti materiali e la relazione personale che sviluppiamo con essi, in un'epoca dominata dalla produzione di massa, dalla standardizzazione e dal mercato globale.

L’artista si appropria di frammenti di servizi da tè, prodotti industrialmente e caratterizzati da decorazioni seriali stampate meccanicamente, trasformandoli in pezzi unici, preziosi e fatti a mano.

Nelle opere Broken Things, tazze, ciotole, bricchi e vasi appaiono paradossalmente rotti e ancora completi: ciò che contiene e ciò che è contenuto formano una sorta di terzo oggetto indeterminato, sospeso tra formazione e dissoluzione. È il pattern degli oggetti, che rimane e si discosta dal suo luogo d’origine, che esprime l'ambiguità di queste sculture.

Ne è un esempio il motivo ricorrente scelto dall’artista, il Willow Pattern, che si può trovare su moltissime ceramiche prodotte industrialmente. L’origine di questo motivo ornamentale, che vuole richiamare le decorazioni blu delle antiche porcellane cinesi, è in realtà da ricercare nell’Inghilterra della Rivoluzione Industriale. Questo pattern fu inventato da un Inglese e, mentre in un’epoca passata le ceramiche blu e bianche venivano associate alla classe aristocratica, oggi è un design inflazionato, quasi un logo, stampato su una quantità enorme di ceramiche che possiamo trovare nei grandi magazzini. Il Willow Pattern è sostanzialmente un esempio ironico di come il “brand” sia ormai totalmente slegato dal concetto di qualità, come invece era un tempo, della dignità e l’unicità dell’originale, ma anche della sua diffusione su scala universale.

Altro tema fondamentale per Livia Marin è il momento di tensione che oscilla tra la volontà di conservare o scartare l’oggetto danneggiato.

Attraverso un'altra serie, Nature Morte, l’artista si appropria di alcuni codici della Vanitas seicentesca. Reinterpreta questo filone artistico esplorando la gerarchia degli oggetti, analizzando il loro ordine spaziale, sociale e politico, secondo il valore personale che hanno acquisito con il passare del tempo. In un mondo abituato e gettare via compulsivamente, queste opere ci ricordano con forza che in nessun modo la cultura materialista può sottrarsi alle connotazioni ideologiche della qualità.

Livia Marin (Santiago del Cile, 1973) vive e lavora a Londra. Il suo lavoro, scultoreo e installativo, è caratterizzato dall’appropriazione di oggetti di produzione di massa. L’origine della sua ricerca è stata influenzata dal contesto politico e sociale del Cile degli anni Novanta, che transitò da diciassette anni di dittatura militare, sotto il brutale regime di Pinochet, a una democrazia dominata da estreme riforme economiche neoliberiste, non meno dispotiche e autoritarie. Quello che seguì fu una grande ondata di privatizzazioni e liberalizzazioni, che cancellarono manufatti locali preesistenti nel Paese, importando nuova merce standardizzata dal mercato globale.

L’artista riflette su come ci relazioniamo agli oggetti, in una società materialista culturalmente influenzata dalla globalizzazione e su come le nostre identità siano conformate da beni imposti dal consumismo. Il rapporto intimo, quotidiano, di attaccamento che il proprietario può creare con l’oggetto, fa assumere ad esso una nuova fase di significato. Da oggetto di consumo a consumo dell’oggetto, concetto che ribalta l’alienazione indotta dal consumismo, mettendo in pericolo i dettami del mercato.

Marin ha esposto sia nel nativo Cile che internazionalmente.

Tra le mostre recenti ricordiamo: Oro verde, Galeria Patricia Ready, Santiago, Chile, 2018-2019; Concealed, Jaggedart, London, 2018; Metalmorfosis, Museo Nacional de Bellas Artes, Santiago, Chile, 2018; ASSORTMENT (XII), Jaggedart, London, 2017; Assortment in Colour (XI), Jaggedart, London, 2017; Thread, Jaggedart, London, 2017; Liquid Art System , Context Art Miami, Miami, 2016; White Room-Liquid Art System, Art New York, 2016; Faltas/Faults, Galería Patricia Ready, Santiago, Chile, 2016; Marca no registrada, Espacio Odeon, Bogotà, Colombia, 2013; Sutura, Galeria Eduardo Fernandes, Sao Paulo, Brasil, 2011; Broken Things, House of Propellers, London, UK, 2009; Nomad Patterns, Eagle Gallery, London; El lugar de lo invisible, Sala Gasco, Santiago, Chile; Nature Morte, House of propellers, London; Manuf®actured: The Conspicuous Transformation of Everyday Objects, Museum of Contemporary Craft, Portland, Oregon, USA ; Tectonic Shift: Contemporary Art from Chile, Saatchi Gallery, London; Poetics of the Handmade, The Museum of Contemporary Art (MOCA), Los Angeles, USA; Maximinimalist, Institute of Visual Arts (Inova), Milwaukee, USA; Multiplication. Museum of Contemporary Art, Santiago, Chile; IV Bienal MERCOSUR, Puerto Alegre, Brasil.